LA DIFFUSIONE DEI PRINCIPI DEL BUON GOVERNO SOCIETARIO, ATTRAVERSO LA PROMOZIONE DELL’AUTOREGOLAMENTAZIONE, E L’EVOLUZIONE NORMATIVA SEMPRE PIÙ PERVASIVA SONO DA PORRE IN RELAZIONE CON I GRANDI CAMBIAMENTI DEI MERCATI, FORTEMENTE INFLUENZATI DA CIRCOSTANZE – ANCHE STRAORDINARIE – E DA FATTORI ESTERNI CHE ORMAI DA DIVERSI ANNI MUTANO RADICALMENTE IL CONTESTO NEL QUALE LE IMPRESE OPERANO. TRA QUESTI, IN PARTICOLARE, LO SPOSTAMENTO DELLA CRESCITA ECONOMICA GLOBALE, LE NUOVE TECNOLOGIE DIGITALI, L’INSTABILITÀ POLITICA, IL DISEQUILIBRIO NELLA DISTRIBUZIONE DELLA RICCHEZZA, L’INDISPONIBILITÀ DI ALCUNE MATERIE PRIME E I RIDOTTI TASSI DI NATALITÀ DEI PAESI OCCIDENTALI. UN INSIEME
DI ELEMENTI CHE COSTITUISCONO IL FIL ROUGE DEI CAMBIAMENTI A CUI STIAMO ASSISTENDO E CHE, A LORO VOLTA, RICHIEDONO ALLE AZIENDE LA MESSA
A PUNTO DI ORGANIZZAZIONI PIÙ FLESSIBILI E MODELLI DI CONTROLLO PIÙ ROBUSTI.

Le imprese e i loro manager devono affrontare ambiti più complessi rispetto al passato: maggiore stress sui margini operativi con relativa ricerca di nuovi modelli di business, criticità nella finanza d’impresa, necessità di adeguare l’organizzazione aziendale in termini di flessibilità e adattamento, maggiore sensibilità ai temi sociali e ambientali, regole di compliance sempre più pervasive.

È in questo contesto che, a partire dagli anni ’90, si sono via via sviluppati modelli di governo societario finalizzati a garantire e tutelare al meglio gli interessi dell’impresa e dei suoi azionisti, e più in generale dei cd. “portatori di interessi”.

Il primo codice di Corporate Governance, denominato Code of Best Practices, fu adottato nel Regno Unito nel 1992 dal Committee on the Financial Aspect of Corporate Governance, meglio conosciuto come Cadbury Committee, sponsorizzato dalla London Stock Exchange, dal Financial Reporting Council e da professionisti della revisione contabile in risposta ad alcuni gravi scandali finanziari e alle conseguenti pressioni esercitate dagli investitori istituzionali. All’epoca, il Rapporto del Cadbury Committee non fu accolto con successo universale, ma le raccomandazioni in esso contenute gettarono le basi per la definizione di un più evoluto modello di governo societario, influenzando gli sviluppi della governance aziendale in tutto il mondo. L’anno successivo, negli Stati Uniti, l’American Law Institute (ALI) pubblicò i Principles of Corporate Governance che definivano in modo molto chiaro la missione assegnata all’organo amministrativo, in primis supervisionare la conduzione degli affari della società «per giudicare se essa fosse ben gestita, rivedendone gli obiettivi finanziari e i principali progetti e piani aziendali […]».

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L’approccio anglo-americano prevedeva raccomandazioni di corporate governance, applicabili secondo un principio di adozione volontaria con una regola di comply or explain, osservato fino ad oggi dalla maggioranza dei Paesi.

Ispirati quindi da tali iniziative e proposte anglosassoni, i principi di corporate governance si sono affermati a livello internazionale ed europeo soprattutto grazie all’approvazione, nel 1999, dei Principi di Corporate Governance dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Eco- nomico (OCSE) e alle azioni intraprese dall’Unione Europea. In particolare, l’UE incoraggiava il coordinamento e la convergenza tra i Paesi Membri su una serie di principi, consentendo così di valutare le pratiche di governance e di migliorare il livello di informazione fornito agli investitori.

Lo stesso anno in Italia, il Comitato per la Corporate Governance, composto dalle associazioni rappresentative degli emittenti (Abi, Ania, Assonime, Confindustria) e degli investitori (Assogestioni), adottò un Codice di autodisciplina (cd. Codice Preda) che conteneva – per la prima volta nel nostro Paese – un compendio di raccomandazioni volto a costituire un modello di best practice per l’organizzazione e il funzionamento delle società quotate italiane. Il Codice è stato rivisitato nel 2003 e successivamente nel 2018 e nel 2020.

Ma oltre agli indirizzi di autodisciplina, la cui applicazione come detto è su base volontaria, negli ultimi anni si sono susseguiti interventi del Legislatore europeo e di quello nazionale che hanno fissato regole più rigide di governo societario. In Italia, ad esempio, è stata varata una prima riforma del Diritto Societario nel 2001, successivamente nel 2003 e poi nel 2004 con la cosiddetta Riforma “Vietti”, insieme a molte leggi speciali: la normativa a tutela della concorrenza e del mercato con la nascita di una nuova autorità, il D.Lgs. 231 del 2001 riguardante le responsabilità amministrative degli enti, le normative antiriciclaggio e anticorruzione, il Codice di protezione dei dati personali, la Legge 262 del 2005 sulla figura del Dirigente Preposto alla redazione dei documenti contabili societari, il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza del 2019. Infine, nell’ambito del Green Deal Europeo, si colloca l’approvazione e la pubblicazione, avvenuta il 16 dicembre 2022, sulla Gazzetta Ufficiale UE, della Direttiva n. 2022/2464 riguardante la Rendicontazione Societaria di Sostenibilità (Corporate Sustainability Reporting Directive – CSRD), con il principale obiettivo di realizzare un sistema comune a livello europeo per migliorare il flusso di capitali verso attività sostenibili attribuendo alle aziende la responsabilità di dar conto della loro capacità di creare valore ambientale e sociale.

L’acronimo ESG, sempre più conosciuto anche fuori dal mondo della finanza e della sostenibilità, è composto da tre termini molto chiari: Environmental (ambiente), Social (responsabilità sociale) e Governance (corretti principi di governo), tre dimensioni fondamentali per verificare, misurare, controllare e sostenere l’impegno in termini di sostenibilità di un’impresa o di un’organizzazione.

Inevitabilmente, un impianto normativo più rigido ha comportato maggiori responsabilità, sia dei manager apicali all’interno dell’impresa sia degli organi di controllo esterni, relative alla messa a punto di policy e processi adeguati insieme a efficaci modelli di controllo risk based.

Per questo motivo ANDAF ha assunto un forte impegno sugli aspetti che riguardano il “buon governo societario” e le relative responsabilità degli apicali, in particolare dei CFO, per essere in grado di offrire ai propri Soci ogni supporto possibile assicurando il necessario aggiornamento professionale, introducendo linee guida, prassi e metodologie finalizzate a consentire loro di svolgere bene i compiti affidati.
Le attività svolte dall’Associazione negli ultimi anni hanno permesso di raggiungere già buoni risultati; tra questi la pubblicazione di linee guida, regolamenti, quaderni e molti convegni. ANDAF ha anche acquisito personalità giuridica, ed è stata inserita dal Ministero dello Sviluppo Economico (oggi MIMIT) nell’elenco delle Associazioni che possono rilasciare ai propri Soci – che ne abbiano i titoli – “l’attestato di qualità e di qualificazione professionale dei servizi prestati”. Con questo accreditamento ANDAF diviene, ai sensi della Legge 4/2013, pienamente rappresentativa dei propri Associati, e quindi abilitata a rilasciare il prescritto attestato di qualificazione professionale(1).

La Legge 4/2013, agli articoli 6 e 9, prevede inoltre la possibilità per il singolo professionista di ottenere da un organismo riconosciuto da Accredia, ente unico di accreditamento in Italia, la certificazione di conformità a una “norma tecnica” relativa all’esercizio della professione. Tali norme, di carattere volontario, vengono elaborate dall’UNI – Ente Italiano di Normazione. ANDAF ha quindi proposto a UNI la Prassi di Riferimento, che è stata accettata dall’organismo (PDR/UNI 104:2021), la quale definisce i processi supervisionati e coordinati dai soggetti responsabili delle aree Amministrazione, Finanza e Controllo (Responsabile AFC/CFO/Dirigente Preposto alla redazione dei documenti contabili societari), le loro attività distintive e quelle degli altri profili professionali correlati, individuandone le relative conoscenze, abilità e responsabilità-autonomia definite sulla base del Quadro Europeo delle Qualifiche (EQF).

Il documento fornisce inoltre gli indirizzi operativi per la valutazione di conformità ai requisiti del servizio e ai requisiti di conoscenza, abilità e responsabilità-autonomia definiti per i profili professionali afferenti alle aree Amministrazione, Finanza e Controllo, declinati con riferimento alle competenze necessarie per il ruolo che comprendono:

  1. strategy & business analysis;
  2. governance risk & compliance;
  3. amministrazione;
  4. finanza;
  5. controllo di gestione;
  6. Investor relations (relazione con Soci, investitori e con le autorità di vigilanza e mercato);
  7. people management e comunicazione.

L’ente certificatore indipendente scelto da ANDAF è Intertek, un’organizzazione che conta un organico di oltre 44.000 persone in 1.000 sedi dislocate in più di 100 Paesi, la quale a sua volta ha conferito ad ANDAF l’incarico di “Centro esame”. Ad oggi, sono oltre 60 i colleghi CFO/DP e Controller che hanno superato l’esame tenuto da esperti ANDAF, conseguendo così la certificazione del profilo professionale. I certificati ottenuti da un numero crescente di professionisti sono consultabili nella banca dati di Accredia che accoglie le figure professionali, e sulla pagine del sito ANDAF che aggiorna costantemente l’albo dei professionisti Finance certificati attraverso il Certificate Book(2).

Oltre alla possibilità offerta ai CFO di ottenere da ANDAF l’attestazione di qualità e di qualificazione professionale e, attraverso Intertek, la certificazione del profilo professionale, oggi è possibile aggiungere – a beneficio delle imprese presso cui operano – la certificazione dei processi collegati all’informativa economica e finanziaria (le cd. procedure amministrative e contabili).

 

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Articolo pubblicato sulla rivista ANDAF Magazine di gennaio 2024.

Di Paolo Bertoli Membro dell’Advisory Council ANDAF e Direttore Responsabile di ANDAF Magazine