Di Paolo Bertoli
(dal web, dal Sole 24 Ore, Corriere della Sera e Repubblica)
Lo spread ormai non è più soltanto una differenza tra gli interessi sui titoli sovrani dei Paesi forti, ma agisce sui mercati dei crediti alle aziende. La Bce presta denaro agli istituti di credito con tasso di riferimento ormai allo 0,75%, questi a loro volta prestano denaro alle aziende aggiungendo un interesse supplementare per guadagnarci. Proprio le differenze dei tassi praticati dalle banche sui mercati creano un enorme svantaggio di competitività per le aziende dei Paesi europei ad alto debito, aggravando il gap tra economie forti ed economie deboli. Lo evidenzia un approfondimento del Financial Times Deutschland basato su statistiche della Banca entrale europea. Le aziende dei Paesi ad alto debito dell’Europa meridionale ottengono infatti finanziamenti dalle banche a tassi ben più alti di quelli applicati alle aziende tedesche o di altri Paesi dalle finanze pubbliche più solide, con conseguenze onerose e negative soprattutto per piccole e medie imprese. Per crediti fino a un milione di euro le aziende italiane devono farsi carico di interessi del 6,24 per cento e quelle spagnole del 6,5 per cento (dati di luglio 2012), mentre alle imprese tedesche vengono riconosciuti crediti con interessi in media del 4,04 per cento, i più bassi dal 2003. Secondo David Riley dell’agenzia di rating Fitch: «la frammentazione dell’eurozona in questo modo sarà sempre peggiore e, se il trend si rafforza, avremo presto a che fare con un riordinamento dell’eurozona».
A questo si aggiungano i risultati di uno studio pubblicato dalla Banca d’Italia nella collana “Questioni di economia e finanza”, secondo il quale l’effetto-contagio nella zona euro è il motivo principale dello spread Btp-Bund su valori molto elevati, oltre i 400 punti. Se si considerano infatti solo i fondamentali economici di Italia e Germania, il differenziale dovrebbe essere a quota 200. Ne deriva che la dinamica dei cosiddetti fondamentali (crescita economica, condizioni fiscali, rischi finanziari) a partire dall’estate del 2011 non sarebbe sufficiente a giustificare il forte incremento dei premi per il rischio occorso in alcuni Paesi, tra cui l’Italia. Per trovare soluzione a quest’Europa a due velocità, l’establishment politico europeo continua a lavorare su una riforma dell’unione monetaria con l’obiettivo di rafforzare, appunto, l’integrazione tra i Paesi della zona euro. A metà ottobre la Commissione incaricata – presieduta da presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy e composta tra gli altri dal presidente della Commissione José Manuel Barroso, dal capo dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker e dal presidente della Bce Mario Draghi – dovrebbe presentare un rapporto preliminare con le proposte per una riforma dell’Unione, mentre la versione definitiva è attesa per il mese di dicembre. Tra le proposte allo studio, la creazione di una capacità di bilancio per l’area euro da ottenere attraverso una tassazione europea oppure attraverso i contributi nazionali. Proprio a questo riguardo è in fase di elaborazione un documento che servirà da base per la finalizzazione del rapporto preliminare e che illustrerà le varie possibilità, seguendo i quattro tasselli individuati: l’unione bancaria, l’unione di bilancio, l’unione economica e l’unione politica.
Articolo pubblicato sulla rivista ANDAF di Ottobre 2012